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Concepire – Costruire

LEONARDO, JESSICA RABBIT E GLI INGEGNERI FORTUNATI

Luca Forno – Arsenale Editrice – Verona – 2016 – ISBN 978-88-7743-412-8

Causa – effetto. Disegno – macchina. Macchina che si muove, funziona. Macchina che esegue esattamente quello che il suo disegnatore aveva in mente. Come diceva Jessica in Roger Rabbit, il cartoon della grande commistione tra mondo reale e universo immaginato: “Io non sono cattiva, è che mi disegnano così”. Ma nel cantiere delle idee di Coeclerici , negli uffici che accolgono ingegneri e altri progettisti, non si disegna niente di cattivo: si compie invece quasi un miracolo, si realizza ciò che per Leonardo rimase spesso soltanto un sogno, non certo per scarsità di genio, ma piuttosto per insormontabili limiti tecnici. Lui non vide mai il suo elicottero sollevarsi da terra e riuscì soltanto a immaginare il primo uomo staccare l’ombra da terra benché le macchine che lui aveva disegnato imitassero il moto e la dinamica degli uccelli. Certo, quegli studi, quei calcoli, quei disegni, secoli dopo hanno mandato l’umanità fin sulla Luna e hanno reso Leonardo immortale. Ma la soddisfazione di vedere l’uomo volare Leonardo non l’ha mai provata. 
La sequenza di schizzi e macchine compiute che Luca Forno ha accostato nella sua ultima fatica fotografica racconta invece di intuizioni soddisfatte, di immaginazione che diventa realtà, di disegnato che si materializza, di calcolato che funziona. A volte sembra persino troppo semplice, perché la coincidenza dei disegni con le macchine create a volte è sorprendente. Ed è una corrispondenza che Forno con le sue fotografie sottolinea in modo così preciso che i due piani – l’idea e l’opera che ne deriva – spesso si confondono e si riunificano nel pensiero che suggeriscono. E’ come se la fotografia volesse riportarci dal “fatto” al “pensato” e viceversa: il disegno che genera l’ancora e l’ancora che riconduce al disegno. Forno spesso ci accompagna anche nel percorso dallo schizzo al prodotto finito, un tragitto compiuto dalla collaborazione di tanti uomini con competenze diverse, ma che tutti insieme alla fine possono dire: “Questo l’ho fatto io. E funziona”. Succede con i nastri trasportatori del carbone, con le benne, con la “sala regia” dei giganti del mare di Coeclerici, con le eliche e le chiatte. E con tante altre macchine, che noi nemmeno saremmo capaci di immaginare. Eppure funzionano. 
Gia di per sé è un bell’esercizio intellettuale, quasi filosofico, cui però si aggiunge la precisione asettica del bianco e nero che caratterizza tutta l’opera di Luca Forno. Il bianco e nero non può mentire, perché più dell’immagine colorata risponde a regole molto strette che rispondono alla necessità di riportare il più possibile l’osservatore alla realtà cui la fotografia fa riferimento, senza avere l’intenzione di riprodurla, ma semmai di evocarla. Il bianco è nero, più del colore, accompagna e riconduce senza deroghe non alla cosa ma all’idea originale. E’, in questo caso, il cerchio che si chiude e che nelle fotografie di Luca genera vortici di pensieri: il disegno che diventa macchina, la macchina che torna disegno. Idea.

Roberto Orlando – Torino

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