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Limpopo’s Land

IL GRANDE VIAGGIO DEL CARBONE DI MOATIZE

Luca Forno – Arsenale Editrice – Verona – 12/2013 – ISBN 978-88-7743-396-1

l primo aspetto che ti colpisce è la grandezza. E non smetterà di sorprenderti per tutto il viaggio. Qui a Moatize, provincia di Tete, nel cuore del Mozambico riappacificato dopo una lunga e sanguinosa guerra civile, c’è uno dei più grandi bacini carboniferi al mondo. Se si lascia correre lo sguardo e si libera la fantasia, al posto di questa savana è lecito immaginare una sconfinata foresta, sprofondata in cenere qualche milione di anni fa. Doveva essere grande almeno quando la scommessa di un Paese che marcia a due velocità e che lega i suoi destini alla ricchezza di materie prime e allo sviluppo su scala industriale dell’agricoltura. Il PIL del Mozambico corre con un incremento del 7-8 per cento annuo, numeri che piacciono al Fondo Monetario Internazionale e che incamminano il Paese lungo la difficile e alla ancora lunga strada dello sviluppo.
Il carbone è uno dei crocevia più importanti: la sua estrazione nella modernissima miniera a cielo aperto di Moatize ha forse la stessa rilevanza del progetto nazionale sostenuto da grandi gruppi internazionali per l’incremento della produzione agricola, che rappresenta tuttora la principale risorsa economica del Paese: il piano, battezzato Pro Savana, non può prescindere dalle concessioni governative. Qui la terra, tutta la terra, anche quella scura delle miniere, è proprietà dello Stato e viene data temporaneamente in licenza ai privati. Proprio come il bacino carbonifero di Moatize, ora in concessione alla compagnia mineraria brasiliana Vale, la seconda più importante al mondo.
Si diceva, appunto, della grandezza. Le fotografie di questo volume ci aiutano a immaginare le dimensioni di questa miniera e dell’impressionante macchina logistica che le ruota intorno. Forse è anche per questo che Luca Forno fa sfilare i camion da 400 tonnellate impiegati per il trasporto del carbone accanto ad un baobab che, al confronto, non sembra più grande di un pioppo. Così come è solo un puntino quell’operaio ai comandi della “minacciosa” scavatrice che sembra essere uscita da un cartoon giapponese. Ma poiché, come in nessun altro posto al mondo, in questo luogo dell’East Africa tutto è relativo, non bisogna stupirsi se, a sua volta, questa enorme pala meccanica che spaventerebbe un elefante è resa minuscola dall’imponenza delle montagne di carbone che dovrà assaltare e di cui alla fine avrà ragione. 
E così non deve più sorprendere quel serpentone di carri ferroviari che parte dalla miniera e si allunga sinuoso a perdita d’occhio nella savana: sul suo dorso snodato, come appare in una delle immagini di questo volume, il prezioso carico nero raggiungerà il porto di Beira dove troverà due gemelle ad attenderlo. Il porto di Beira è in forte espansione, anche grazie a quel serpente nero che senza sosta cerca la via del mare. Porto e città sono stati fondati dai portoghesi in tempi relativamente recenti, a fine Ottocento. La realizzazione della ferrovia verso lo Zimbawe (l’ex Rhodesia) ha fatto di Beira anche una rinomata località turistica. Ma la ferrovia ha da subito rivelato la sua utilità strategica, perchè rappresenta lo sbocco a mare per i traffici oltre che dello Zimbawe anche di Malawi e Zambia. 
A Beira il serpentone si trasforma in un drago dalle dieci teste, nell’immaginario di Forno: nastri trasportatori lunghi chilometri salgono e scendono e si intrecciano come montagne russe e chissà se con quella loro velocità anche il carbone possa provare un brivido. 
Ma Beira, nella nostra storia, è soprattutto l’approdo delle grandi navi gemelle della Coeclerici: la Bulk Zambesi e la Bulk Limpopo. Portano il nome dei due fiumi del Mozambico, forse proprio perchè il loro flusso tra il porto di Beira e l’area di ancoraggio offshore a 20 miglia dalla costa è inarrestabile. Le carbonifere di Coeclerici – che ha stipulato con Vale un contratto ventennale – sono due giganti da 55.000 tonnellate di portata lorda, attrezzate con cinque gru, altrettante benne, otto nastri trasportatori, un nastro caricatore semovente da 37 metri, capace di trasferire 3.000 tonnellate di carbone all’ora, cioè circa sei milioni di tonnellate l’anno. Velocità che Forno ci mostra con le suggestioni del mosso, l’unico metodo per rappresentare in fotografia un primo istante e pochi istanti successivi senza essere ancora cinema.

Altri draghi, nelle foto di Forno, attendono le due Bulk in alto mare: sono ancora velocissimi nastri trasportatori che svuotano le stive delle gemelle per riempire quelle delle loro sorelle maggiori, le navi carbonifere transoceaniche, così fuori misura da non potersi nemmeno avvicinare alle coste. Del resto, non può che finire in grandezza il viaggio di Luca Forno al seguito del carbone di Moatize.

Marco Riolfo – Calizzano 

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